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Antonello da Messina: Genio Quattrocentesco tra Napoli e Venezia
Antonello da Messina, pittore del Quattrocento, sfida la storia dell'arte con opere misteriose e rivoluzionarie. Tra Napoli e Venezia, il suo genio si svela nei ritratti e nelle scene sacre, mentre il breve soggiorno veneziano segna un punto di non-ritorno nella sua carriera.
Le immagini fornite sono esclusivamente a scopo illustrativo e potrebbero non riflettere esattamente la realtà del prodotto o del contesto.
La vicenda biografica di Antonello da Messina è stata oggetto, nel corso dei secoli, di ricostruzioni biografiche contraddittorie e talora piuttosto fantasiose. Molte le ragioni di una così complicata vicenda critica: a una complessiva scarsezza di materiale documentario, infatti, si affianca la singolare concentrazione cronologica dei dipinti rimasti. Se quasi nulla è pervenuto dei primi due decenni di attività del pittore, che possiamo ipotizzare al lavoro dal 1450, una gran mèsse di opere si concentra invece negli anni Settanta, e in particolare nell’ultimo lustro di vita dell’artista, contribuendo a sbilanciare l’approccio critico nei suoi confronti.
Il percorso artistico di Antonello, nato plausibilmente attorno al 1431, prende avvio nel vivace clima culturale della corte aragonese di Napoli, allora una delle culle della civiltà del Mediterraneo e città ove operava il pittore Colantonio, nella cui bottega il messinese avrà appreso i primi rudimenti dell’arte, attento ai molteplici stimoli offerti da un ambiente in cui si trovavano opere catalane e provenzali, oltre che capolavori nordici come, ad esempio, lo straordinario Trittico Lomellini di Jan Van Eyck. L’esordio di Antonello è segnato da testi quali la Madonna Salting o l’enigmatico Ritratto d’uomo di Cefalù cui seguono, solo per citare gli esempi più significativi, negli anni 1473-1474 e con esiti già compiutamente maturi, l’Annunciazione di Siracusa, dall’articolata impaginazione spaziale gestita con completa padronanza degli effetti luministici, e il Polittico di San Gregorio, commissionato per la chiesa del convento di monache benedettine di Santa Maria extra moenia, rivoluzionario nella resa psicologica dei personaggi che lo popolano.
Ma è il soggiorno veneziano, datato 1475-1476, a segnare un definitivo punto di non-ritorno per la carriera artistica del siciliano e per la storia dell’arte italiana del Quattrocento. E’ l’incontro tra l’arte di Antonello e l’ambiente figurativo veneziano, rappresentato in primis da Giovanni Bellini, a creare le premesse di capolavori assoluti con ritratti quali il cosiddetto Condottiero del Louvre o i ritratti virili conservati alla National Gallery di Londra e alla Galleria Borghese di Roma, ove le caratteristiche tipicamente fiamminghe della posa di tre quarti, il diaframma del parapetto a segnare la separazione tra effigiato e spettatore, il trompe-l’oeil del cartellino, il fondo scuro, si coniugano a una resa del dato psicologico inedita e rivoluzionaria per acutezza di penetrazione. Immediatamente riconosciuto nella sue capacità dalla città lagunare, Antonello ricevette commissioni di prestigio: tra tutte quella per la Pala di San Cassiano, realizzata nel 1476 per il patrizio Pietro Bon, opera da subito celeberrima per la fastosa profusione di dettagli preziosi e realizzata in diretto colloquio con le coeve opere belliniane.
Il soggiorno veneziano, breve ma ritmato da un’incalzante serie di stupefacenti capolavori, vede lo sviluppo del tema dell’Ecce Homo, opere di fortissima intensità emotiva a commuovere lo spettatore con particolari di realismo sofferto umanizzando il tormento del Cristo; la tavoletta con San Girolamo nello studio, dallo sbalorditivo impianto spaziale e inedita ambientazione, uno studiolo rinascimentale nella navata semibuia di una chiesa; le tavolette votive delle Crocifissioni di Anversa e di Londra. In un crescendo di novità formali e di coinvolgimento dello spettatore a livelli prima mai ipotizzati, si giunge infine all’Annunciata di Palermo ove una fanciulla, chiusa nel proprio manto, ieratica e consapevole del ruolo nella storia dell’umanità, congela il tempo nel gesto sospeso della mano e presupponendo in chi guarda il ruolo dell’angelo annunciante. Al 1476 risalgono il Salvator Mundi di Londra, prossimo all’Annunciata per virtuosismo spaziale nella resa delle mani, e il cosiddetto Ritratto Trivulzio di Torino, altissimo risultato nella caratterizzazione dei ritratti antonelliani, catturando lo spettatore con uno sguardo ipnotico di maliziosa sfida.
A chiudere il percorso artistico del pittore siciliano sono infine due eccezionali opere: il San Sebastiano di Dresda, commissionato in occasione di un’epidemia di peste, prova suprema di maestria prospettica nella resa del paesaggio urbano di Venezia, e la Pietà del Prado, probabilmente realizzata una volta tornato in patria, come suggerisce lo sfondo, in cui si scorgono edifici realmente esistenti a Messina. Il 14 febbraio del 1479 Antonello fa testamento; due mesi dopo egli risulta defunto, ponendo così termine a una carriera artistica di straordinaria rilevanza, entro cui si condensarono con inedita coerenza e intensità, come raggi solari sotto l’effetto di una lente convergente, le diverse matrici culturali che si intrecciavano nel Mediterraneo in quell’epoca di splendore che fu il XV secolo.
di Concetto Vecchio
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